Tra le varie possibilità, il modo più sintetico ed efficace di definire il counseling è ‘relazione d’aiuto’. Prima di tutto il counseling è un incontro umano.
Che cos’è un incontro veramente umano? Non si può definire con questo termine l’incontro casuale di una persona per strada. Un autentico incontro umano implica sempre che io sia, anche se per poco, totalmente presente all’altra persona, che io sia pienamente con essa. In un vero incontro, io partecipo all’esistenza personale dell’altro, con reale premura. Partecipare vuol dire letteralmente ‘prendere parte a’. Quindi l’incontro implica che io partecipi alla vita dell’altro, all’esistenza dell’altro, condivida il suo modo di essere nel mondo. (…) Qualcosa nel suo comunicare mi tocca e diventa quasi un appello rivolto a me. Mi spinge a dargli una risposta che va oltre il formale e l’accidentale. E’ come se l’altro si fosse tolto per un momento la maschera sociale e mi invitasse ad entrare nel santuario della sua vita interiore. Io rispondo a questo appello togliendomi la mia maschera. Qualcosa matura tra noi e una nuova realtà è sentita ed espressa da noi due. Che cos’è questa nuova realtà? Che cos’è questa nuova e vitale relazione? Che cosa questo improvviso crearsi di una comunione? Qualcuno potrà rispondere: “Nulla”. Difatti sembra una cosa da nulla. Eppure qualcosa è avvenuto; in questo nostro rapporto è emerso un qualcosa di così reale, che non potrò incontrarlo di nuovo un altro giorno o anche il dì seguente, senza sperimentare una conoscenza più che casuale.(Adrian van Kaam – Il counseling)
Lo scopo di questa relazione è aiutare una persona ad aiutarsi. Nel counseling si parte dal presupposto che una persona ha già in sé le risorse necessarie per migliorare le proprie relazioni con se stessa o con il mondo: aiutare significa creare le condizioni perché queste risorse possano emergere. In questo modo la persona verrà accompagnata a gestire i problemi in maniera personale e creativa, senza dipendere da interpretazioni, consigli o direttive forniti da un altro. Il principale strumento di lavoro è la comunicazione. La persona, in presenza del counselor e attraverso la parola, potrà comprendere meglio il proprio problema, guardarlo da diversi punti di vista e studiarne le possibili evoluzioni. Alla base di questa strategia c’è la fiducia nella capacità di ogni singolo individuo di cambiare, di non essere inesorabilmente determinato da fattori ambientali, storici o genetici, ma di poter dare anche risposte nuove basate su convinzioni e valori personali. Ma non esiste comunicazione se manca l’ascolto. Saper ascoltare è un’arte che il counselor esercita facendo così percepire al cliente la propria totale presenza e attenzione e la disponibilità ad accoglierlo senza giudizio e senza interpretazioni.
Nel 1995 l’EAC, l’Associazione Europea di Counseling, ha adottato questa definizione: “Il counseling è un processo interattivo tra il counselor e un cliente, o più clienti, che affronta con tecnica olistica temi sociali, culturali, economici e/o emotivi. Può concentrarsi sulla modalità di affrontare e risolvere temi specifici, aiutare a superare una crisi, migliorare i rapporti con gli altri, agevolare lo sviluppo, accrescere la conoscenza, la consapevolezza di sé e permettere di elaborare emozioni e confini interiori. L’obiettivo globale è quello di offrire ai clienti l’opportunità di lavorare, con modalità da loro stessi definite, per condurre una vita più soddisfacente e ricca di risorse, sia come individui sia come membri della società più vasta”.
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